Enciclopedia, Industria


Leggiamo questo brano della Enciclopedia francese, la monumentale opera compilata dai filosofi illuministi, attorno alla metà del Settecento. Consideriamo il termine industria che è frutto della penna del cavaliere de Jaucourt, instancabile - lavorava dalle tredici alle quattordici ore giornaliere - collaboratore della grande opera.

Industria significa operosità
Afferma de Jaucourt:
“Industria, questa parola significa due cose: sia il semplice lavoro delle mani, sia le invenzioni dello spirito in macchine utili nelle sfera delle arti e dei mestieri; l’industria comprende ora l’una, ora l’altra di queste due cose, e spesso le riunisce tutte e due.
Essa si applica alla coltivazione delle terre, alle manifatture ed alle arti; essa rende tutto fertile e spande dappertutto l’abbondanza e la vita; come le nazioni distruttrici sono dei mali che durano più della loro esistenza, così anche le nazioni industriose sono dei beni che non si esauriscono con se stesse“.
Nel ‘700 il termine industria non indica ancora le nostre attuali industrie, è invece più ampio e più vicino al significato etimologico della parola latina da cui deriva. In latino il sostantivo industria - industriae si può tradurre con attività, operosità o anche con zelo o con energia. Con il termine industria si fa riferimento a qualunque tipo di lavoro, da quello dei campi a quello dell’artigianato. Il lavoro, l’operosità vengono distinti nettamente da altri ambiti, come per esempio dalla guerra, e la distinzione va tutta a vantaggio dell’industria stessa, fonte di abbondanza e di ricchezza.
Continuiamo la lettura.
“In America, la terra produce naturalmente abbondanza di frutti di cui ci si può nutrire; se in Europa si lasciasse la terra incolta non vi crescerebbero più foreste, querce, pini e altri alberi sterili. Così per far rendere la terra in Europa, era necessario molto lavoro, industria e conoscenze; perché i bisogni, l’industria e le conoscenze avanzano sempre di pari passo. E’ perciò che negli stati europei si deve proteggere al massimo, ricompensare gli agricoltori e gli uomini utilmente industriosi. Il motivo è evidente; ogni accrescimento nella coltivazione e ogni industria moltiplicano i prodotti, le merci, e attirano nello stato il denaro che è il segno della loro valutazione“.
Qui, dopo aver visto le differenze fra le terre nuove del continente americano e quelle molto sfruttate della vecchia Europa, si mette in evidenza come gli europei siano riusciti a mantenere produttivi i loro terreni con un lavoro costante ed aperto a sempre nuove innovazioni. L’industria-operosità è quindi un elemento indispensabile per il benessere generale e proprio i bisogni, l’industria e le conoscenze tecnico-pratiche costituiscono gli obiettivi fondamentali della classe emergente, anzi in parte già emersa, del ‘700 che è la borghesia. E’ un gruppo sociale in aperta competizione con i due gruppi dominanti nel passato ed ancora forti: la nobiltà legata all’attività militare ed il clero legato al magistero religioso. La borghesia non volge il suo interesse all‘onore ed alla gloria militare, né alla salvezza ed all‘immortalità dell‘anima; si occupa principalmente di produrre beni, di acquisire conoscenze tecnico-scientifiche e, punto fondamentale che l’ha resa e la rende forte, di accumulare ricchezza.

Contro i pregiudizi sull’industria
Continua l’esaltazione dello spirito produttivo ed imprenditoriale.
“E’ una verità abusata che è quasi vergognoso ripetere: ma, in certi paesi, vi sono delle persone che eludono i ritrovati che vengono loro dati per far fruttificare l’industria e sacrificano puntualmente i principi di questa specie ai pregiudizi che li dominano. Essi ignorano che gli ostacoli frapposti all’industria la distruggono completamente; e che, al contrario, gli sforzi dell’industria che vengono incoraggiati la fanno prosperare in modo meraviglioso per via dell’emulazione e del profitto che ne risulta. Ben lungi dal porre tasse sull’industria, è necessario premiare coloro che avranno meglio coltivato i loro campi e gli operai che avranno spinto più lontano le capacità nella loro opera. Nessuno ignora quanto questa pratica sia stata coronata da successo nei tre regni della Gran Bretagna. Ai nostri giorni, con questo sistema, in Irlanda è stata creata una delle più importanti manifatture di tela che esistano in Europa“.
E’ chiara la differenza fra nobili e clero da una parte e la borghesia dall’altra: quest’ultima è pronta per la nuova economia dell’industria; mentre gli altri, per mentalità e per difendere i propri interessi, sono ancora legati alla vecchia economia agricola ereditata dal Medio Evo. I borghesi ed alcuni nobili illuminati, che sono imprenditori e produttori, rivendicano il grande ruolo che svolgono per la ricchezza della Francia e condannano ogni ostacolo, come dazi e tasse, che lo stato impone alle capacità produttive. Ammirano la grande trasformazione economica già avviata, al di là della Manica, nella vicina Inghilterra che attorno alla metà del ‘700 conosce la prima rivoluzione industriale.

Importanza delle macchine e dei progressi tecnici
Vediamo ora i progressi tecnologici del ‘700.
“Come il consumo delle merci aumenta quando il prezzo della manodopera è basso, così l’industria influisce sul prezzo di questa manodopera tutte le volte che può diminuire il lavoro o il numero delle mani impiegate. Tale è l’effetto dei mulini ad acqua, dei mulini a vento, dei telai e di tante altre macchine, frutti di una preziosa industria. Si possono citare per esempio le macchine inventate dal signor de Vaucanson, quella per torcere la seta conosciuta in Inghilterra da venti anni, i mulini per segare la legna, con i quali, sotto la sorveglianza di un solo uomo e per mezzo di un solo asse, si preparano in un’ora di vento favorevole fino ad ottanta tavole lunghe tre tese; i telai per nastri a diverse spole presentano ancora mille vantaggi; ma tutte queste cose sono così conosciute che appare inutile soffermarsi sull’argomento…”
L’industria è strettamente legata alle macchine e a quegli accorgimenti tecnici che offrono mille vantaggi: riducono il numero di lavoratori e nello stesso tempo aumentano il numero dei beni, che sul mercato possono essere venduti a prezzi più contenuti. L’industria così aumenta lo spirito di emulazione fra i produttori, crea la concorrenza. Infatti per vendere, ogni imprenditore deve mettere sul mercato la merce della migliore qualità possibile al prezzo più basso possibile.
Compare la fiducia in un futuro più produttivo e quindi più ricco, senza povertà e senza continue carestie: è il concetto tutto illuministico di progresso. Si pensa di poter uscire da un passato ancora medioevale, fatto di ignoranza e di miseria, per entrare in un futuro di benessere e di civilizzazione.
Il cavaliere de Jaucourt esalta il lavoro svolto dalle macchine e cita sia i mulini, sia le nuove macchine introdotte soprattutto nell’industria tessile, che è uno dei settori trainanti dello sviluppo economico del ‘700.
Jacques de Vaucanson
Nel testo viene menzionato un personaggio molto celebre nella Francia del ’700, il signor Jacques de Vaucanson, l’ispettore delle reali manifatture di seta di Lione. Le famose seterie di Lione, che davano lavoro a decine di migliaia di operai - avvicinandosi molto, date le dimensioni, ad una industria moderna, più che ad una limitata attività artigianale -, erano il risultato di una precedente politica economica, quella del grande Colbert, ministro di Luigi XIV. Colbert aveva promosso le famose manifatture reali, cioè industrie specializzate in prodotti pregiati, destinati all’esportazione e quindi ad aumentare la quantità di denaro che dall’estero doveva affluire in Francia. I tessuti di seta, insieme con gli specchi, gli arazzi e le porcellane, facevano parte dei beni di lusso da esportare.
Vaucanson con la sua genialità d’inventore molto contribuì all’economia di Lione. Perfezionò le macchine tessili per le manifatture ed inoltre fece costruire un sistema di pompe idrauliche utile per la città.
Per dar prova dei grandi meriti della meccanica, si cimentò anche nella costruzione di automi, creando un’anatra meccanica capace di imitare perfettamente l’animale vero. Questa macchina nuotava, sbatteva le ali, faceva il verso dell‘anatra, mangiava e beveva, espelleva persino il cibo trasformato in escrementi.
Oltre all’anitra, un altro automa di Vaucanson suscitò l’ammirazione dei francesi: un suonatore di flauto, che era in grado di suonare un vero flauto grazie a mantici nascosti all’interno della macchina e ad un insieme di ruote dentate.

Prezzi, manodopera e laissez faire
Ritornando alla voce del dizionario, vediamo emergere alcuni aspetti preoccupanti dell‘industria.
“La possibilità d’impiego per i manifatturieri non conoscono altri limiti oltre quelli del consumo; e il consumo non ne incontra che nel prezzo del lavoro. Dunque, a parità di tutte le altre condizioni, la nazione che avrà la mano d’opera al prezzo più basso e i cui negozianti si contenteranno del guadagno più moderato, realizzerà il commercio più redditizio. Tale è il potere dell’industria, quando, contemporaneamente, le vie del commercio interno ed estero sono libere. Allora essa fa aprire al consumo nuovi mercati e forza anche l’entrata di quelli che le sono preclusi.
Non ci si venga più ad obiettare, contro l’utilità delle invenzioni dell’industria, che ogni macchina diminuisce di metà la mano d’opera, toglie immediatamente alla metà dei lavoratori di quel mestiere i mezzi di sussistenza; che gli operai disoccupati diverranno mendicanti a carico dello stato piuttosto che apprendere un nuovo mestiere; che il consumo ha dei limiti, per il fatto che anche supponendolo raddoppiato per via delle risorse che vantiamo tanto, esso diminuirà appena all’estero si saranno procurate macchine simili alle nostre; e, infine, che al paese inventore non resterà alcun vantaggio per le sue invenzioni industriali.
Il carattere di simili obiezioni è di essere insensate e irragionevoli; esse assomigliano a quelle che i battellieri del Tamigi sollevavano contro la costruzione del ponte di Westminster. Non hanno forse trovato quei battellieri un nuovo impiego, mentre la costruzione del ponte in questione ha introdotto nuove comodità nella città di Londra? E’ meglio prevenire l’industria degli altri paesi nell’impiego delle macchine, oppure attendere che ci costringano ad adottarne l’uso, per tener testa alla concorrenza sugli stessi mercati? Il profitto più sicuro sarà sempre della nazione che sarà all’avanguardia nell’industrializzazione; e, a parità delle altre condizioni, la nazione la cui industria sarà più libera, sarà anche la più industrializzata“.
Qui viene introdotto un problema che non poco tormentò lo sviluppo delle industrie e delle macchine fra il ‘700 e l’800. La macchina, che produceva molto ed in fretta rispetto alle capacità manuali dell’uomo, suscitò non poche apprensioni sul piano sociale: molti operai videro nel telaio meccanico o in altre invenzioni la causa della rovina di sé e delle loro famiglie.
Si manifestò in modo evidente il contrasto fra la fiducia ottimistica dell’imprenditore borghese, che con le macchine poteva essere competitivo producendo di più e riducendo i costi per la manodopera, e gli operi che vedevano profilarsi lo spettro della disoccupazione. In Inghilterra questo causò non poche ribellioni: si racconta che nel 1779 un certo Ned Lud, operaio tessile, arrivò a distruggere un telaio meccanico. Da qui derivò il termine luddismo per indicare un movimento ostile alla industrializzazione.
Il de Jaucourt dimostra di aver ben presenti questi problemi e a chi obietta che le macchine aumentano il numero dei poveri risponde che le invenzioni tecnologiche presentano più vantaggi che svantaggi. Ricordando il caso dei battellieri del Tamigi, fa presente che la macchina è in grado di portare ad un benessere generale, dove anche chi teme di essere danneggiato alla fine trova nuove occasioni di lavoro. Per questo viene professato il liberismo, cioè una visione economica favorevole alla libera realizzazione di tutte le potenzialità produttive, comprese le invenzioni dell’industria. E’ questa la teoria del “laissez faire”, che in francese significa “lascia fare”e che critica ogni pesante intervento dello stato in economia. Occorre eliminare dazi, evitare tasse eccessive e divieti governativi, per rendere l’industria di un paese competitiva e capace di imporsi sui mercati interni ed esterni: tutto per una generale ricchezza - che agli inizi dell’industrializzazione non fu poi tanto avvertita da tutti, soprattutto da chi svolgeva i lavori più logoranti e meno pagati -.

Contro l’economia impastoiata
Leggiamo ed apprezziamo tuttavia l’equilibrio con cui l’autore tratta la questione dei disoccupati. Vi è un chiaro invito alla gradualità ed alla prudenza.
“Non vogliamo tuttavia disapprovare gli accorgimenti che avrà un governo nel far introdurre con prudenza l’uso di macchine industriali, capaci di arrecare un danno troppo grande a quelle professioni che prevedono l’impiego di molti uomini; tuttavia questa prudenza è necessaria solo in una economia impastoiata da limiti, primo vizio che bisogna cominciare col distruggere. Del resto, sia scoraggiamento dell’inventiva, sia progresso nelle arti meccaniche, l’industria sembra giunta al punto che i suoi progressi sono molto leggeri e le sue scosse violente poco temibili“.
In conclusione il messaggio è chiaro: distruggere i vincoli in economia! L’industria dal canto suo andrà avanti comunque


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