Mandeville e la favola delle api (2° parte)


L’alveare scontento, ovvero i furfanti resi onesti.

Leggiamo alcuni brani tratti dalla seconda parte del saggio di Bernard Mandeville:
se la Favola delle Api inizia con la descrizione di alveare operoso, ricco, ma molto corrotto, nelle strofe centrali presenta l’evolversi delle condizioni dell’alveare. Infatti ad un certo punto, nonostante il benessere, le api dell’alveare si indignano e si ribellano.

LA RIBELLIONE
Leggiamo Mandeville:

“Come è vana la felicità dei mortali!
Se solo avessero conosciuto i limiti della contentezza
e che quaggiù la perfezione
è più di ciò che gli dei possono concedere,
gli animali scontenti sarebbero stati soddisfatti
dei ministri e del governo.
Ma essi ad ogni insuccesso,
come creature perdute e senza scampo,
maledivano politici, eserciti, flotte;
ognuno gridava: “Maledetti gli imbrogli”,
e pur essendo consapevoli dei propri,
non sopportava assolutamente quelli degli altri.

Uno, che aveva accumulato una fortuna principesca,
imbrogliando padrone, re e povero,
osava esclamare: “La terra deve sprofondare
sotto le sue stesse frodi”. E contro chi
credete fosse rivolto il suo sermone?
Contro un guantaio che vendeva agnello per capretto“.

Mandeville consiglia prudenza nel giudicare ed invita a riconoscere i limiti della natura umana, alla quale gli dei non hanno concesso la perfezione, né la capacità di raggiungere la piena virtù. Ma la prudenza non è una facoltà facile da esercitare e proprio gli imbroglioni più incalliti sono quelli che, invece di riflettere sulle complesse dinamiche sociali, si scagliano contro i disonesti e strepitano contro i politici al minimo segnale di crisi della società. Un fior fiore di truffatore grida allo scandalo di fronte al guantaio che spaccia per guanti di capretto i guanti di agnello.

RITORNA L’ONESTA’
Quando diventa assordante il chiasso delle imprecazioni degli imbroglioni, che si indignano per le truffe altrui, il più autorevole degli dei, Giove, decide di intervenire: libera l’alveare dalla frode.

“Appena vi era qualcosa di malfatto,
o di contrario agli interessi pubblici,
tutte le canaglie gridavano sfrontatamente:
“Dei benedetti, se solo vi fosse un po’ di onestà!”
……………………………............
Ma Giove, mosso da indignazione,
alla fine giurò pieno d’ira di liberare
lo schiamazzante alveare dalla frode; e lo fece.
……………………………...................

Ma, dei, che costernazione,
come fu ampia ed improvvisa la trasformazione!
In mezz’ora, in tutta la nazione,
la carne ribassò di un penny la libbra.
……………………………............
Il tribunale rimase silenzioso da quel giorno,
perché ora i debitori pagavano volontariamente
anche quello di cui i creditori si erano dimenticati,
e questi rimettevano i debiti di cui non si erano scordati.
Quelli che erano in torto tacevano
e rinunciavano a cause infondate e vessatorie.
E poiché nulla poteva prosperare
meno degli avvocati in un alveare onesto,
tutti, tranne quelli che avevano guadagnato abbastanza,
scapparono via con i loro calamai portatili.”

Come cambia l’alveare quando non ci sono più vizi, ma solo virtù!
I prezzi del cibo diminuiscono rapidamente e una libbra (unità di misura inglese) di carne è subito ribassata di un penny (moneta inglese): questo è senza dubbio un bene.
I tribunali e anche gli avvocati non servono più, perché fra le api regna il rispetto e l’onestà: anche questo è un miglioramento. Ma Mandeville di fronte a tali trasformazioni si mostra più costernato che soddisfatto e subito dopo spiega il perché.

SOCIETA’ VIRTUOSA E DISOCCUPAZIONE
Osserviamo le conseguenze dell’alveare diventato virtuoso: quanti posti di lavoro si perdono in una società perfetta!

“La giustizia impiccò qualcuno, altri mandò liberi;
e dopo la liberazione delle prigioni,
non essendo più necessaria la sua presenza,
si ritirò con il suo seguito e in pompa.
Per primi marciavano i fabbri, con serrature e grate,
catene e porte rinforzate di ferro;
poi i carcerieri, secondini e aiutanti;
……………………………............

……………………………............

Fra i grandi ministri del re
e tutti i funzionari inferiori
il cambiamento fu grande; infatti, frugalmente
vivevano ora con il loro stipendio.
Che una povera ape dovesse venire dieci volte
a chiedere il dovuto, una piccola somma,
e fosse costretta da un impiegato ben pagato
a dare una corona o non ricevere mai il suo,
lo si sarebbe chiamato ora un vero imbroglio,
benché prima lo si chiamasse gratifica.
Tutti i posti prima occupati da tre,
che sorvegliavano la comune furfanteria,
e spesso, per affinità,
si aiutavano l’un l’altro a rubare,
sono ora felicemente tenuti da uno.
E con questo qualche altro migliaio se ne va“.

La società virtuosa, priva di ladri e delinquenti, viene abbandonata da uno stuolo di professionisti ed artigiani, le cui competenze non servono più a nulla.
Le prigioni ormai deserte licenziano boia e carcerieri; restano senza lavoro anche i fabbri, diventando inutili catene, porte rinforzate, serrature.
Le strutture statali si riducono drasticamente: diminuiscono le poltrone di ministri e consiglieri del re; la burocrazia perde le sue dimensioni pletoriche e conserva solo i dipendenti veramente necessari, lasciandone uno là dove prima ne faceva lavorare tre. In molti se ne vanno e quelli che restano svolgono il loro compito con serietà: ogni suddito, ogni povera ape ha la garanzia di ricevere quanto le spetta per legge in tempi rapidi e senza mance.
Quanto bene, ma anche quanta povertà!

GUERRA SOLO SE NECESSARIA
Nella società ricca ed opulenta è considerata irrinunciabile la presenza di un esercito forte e pronto ad intervenire in tutto il mondo; invece in quella povera e virtuosa le spese militari sono considerate un inutile dispendio di risorse e per questo le buone api le cancellano del tutto, a meno che non siano in vero pericolo la loro vita e libertà.

“Le spese inutili sono evitate come la frode;
non mantengono più truppe all’estero;
ridono della stima degli stranieri
e della vuota gloria ottenuta con le guerre.
Combattono, ma solo per il loro paese,
quando diritto e libertà sono in gioco.”

LO SPOPOLAMENTO, GLI ATTACCHI NEMICI, L’ABBANDONO DELL’ALVEARE
L’impoverimento generale prosegue fino a rendere l’alveare spopolato e molto debole.

“Crolla il prezzo della terra e delle case.
……………………………....................
L’arte edilizia è spacciata,
gli artigiani non trovano lavoro.
Non c’è un pittore famoso per la sua arte,
scalpellini e incisori sono ignoti.
……………………………....................

La superba Cloe, per fare una gran vita,
aveva spinto il marito a derubare lo stato.
Ora vende i suoi mobili
per cui erano state saccheggiate le Indie;
riduce le spese eccessive per il vitto
e porta tutto l’anno lo stesso abito pesante.
L’età frivola e volubile è passata e
gli abiti, come le mode, durano a lungo.
……………………………........................
Restano così in poche nel grande alveare,
che non possono difenderne la centesima parte
contro gli assalti di numerosi nemici.
Ad essi tuttavia si oppongono con valore,
finché non trovano una ridotta ben difesa
e lì resistono o muoiono.
Non c’erano mercenari nel loro esercito:
e poiché combattevano coraggiosamente e di persona,
il loro coraggio e la loro dignità
furono alla fine coronati dalla vittoria.
Non trionfarono senza perdite,
perché migliaia di api caddero.
Indurite dalla fatica e dall’esercizio
consideravano lo stesso riposo un vizio;
e questo accrebbe a tal punto la loro temperanza,
che, per evitare eccessi,
volarono nel cavo di un albero,
lieta di essere appagate e oneste“.

Mandeville ci presenta un quadro desolato e desolante: le case e le terre non hanno più valore; languono l’architettura e le arti; anche la moda sparisce, poiché ogni gran dama, come Cloe che per la sua ambizione ha spinto il marito a derubare lo stato e saccheggiare paesi lontani come le Indie, indossa sempre lo stesso vestito.
La società-alveare diventa tanto piccola e povera che alla fine le poche api virtuose non bastano per difendere il loro paese, rimasto debole e facile da attaccare. Le aggressioni dei nemici più forti non si fanno aspettare e scoppia quella deprecata guerra, vista prima come una “spesa inutile”.
Le buone api non tradiscono il loro impegno di serietà e dedizione: in guerra si mostrano coraggiose e, anche se ne muoiono molte, riescono a rifugiarsi in una ridotta, cioè un’area sicura e ben difendibile. Alla fine vincono, ma risultano così temprate dalle dure prove affrontate che i loro costumi diventano di una austerità eccessiva: scelgono di rifugiarsi nella cavità di un albero e di rimanervi “appagate e oneste”.

MORALE
Come è proprio del genere letterario degli scrittori moralisti, Mandeville trae le sue conclusioni nella morale della favola, in cui dice:

“Smettetela dunque con i lamenti: soltanto gli sciocchi cercano
di rendere onesto un grande alveare.
Godere le comodità del mondo,
essere famosi in guerra e, anzi, vivere nell’agio
senza grandi vizi è un’inutile
Utopia nella nostra testa.
Frode, lusso e orgoglio devono vivere,
finché ne riceviamo i benefici:
la fame è una piaga spaventosa, senza dubbio,
ma chi digerisce e prospera senza di essa?
Non dobbiamo il vino
alla vite secca, misera e contorta?
Fino quando i suoi germogli erano trascurati,
soffocava le altre piante e non dava che legna,
ma ci allietò con il suo nobile frutto,
non appena fu potata e legata.
Così il vizio diviene beneficio,
quando è sfrondato e contenuto dalla giustizia.
Anzi, se un popolo vuol essere grande,
esso è necessario allo stato,
quanto la fame per farli mangiare.
La semplice virtù non può fare vivere le nazioni
nello splendore; chi vuol fare tornare
l’età dell’oro, deve tenersi pronto
per le ghiande come per l’onestà”.

Mandeville mostra un equilibrio ed una serietà di giudizio che mettono nella giusta luce le sue argomentazioni, basate su paradossi e verità decisamente provocatorie. Osservando con senso critico e senza giudizi preconfezionati ciò che accade veramente fra gli esseri umani, arriva a due tipi di società: da una parte quella grande, ricca e creativa, dove l’egoismo con i relativi vizi individuali ha la possibilità di esprimersi; dall’altra quella piccola, povera e poco ingegnosa, dove domina l’altruismo con il suo seguito di virtù, che spingono ognuno anche a sacrificarsi per il bene degli altri. Sono due modi di vita che si escludono a vicenda e per questo è definita una “utopia” - ossia un luogo che non c’è, secondo l’etimologia del termine - pretendere di creare una società ricca, grande, dotata di ogni agio, la quale non sia anche forte militarmente e pervasa da un certo numero di vizi.
La realtà spesso mostra che da un male può provenire un bene, come per esempio la odiosa fame è la molla della salute dell’uomo, che proprio per fame si ingegna per cercare cibo e sopravvivere. Nello stesso modo “frode, lusso, orgoglio” non vanno del tutto repressi, se ci offrono dei benefici: sono mali da cui provengono dei beni.
Il collegamento di mali e beni diventa sempre più chiaro con l’esempio della vite e del vino. La contorta pianta della vite si presenta ad un primo sguardo brutta e senza valore; ma, se non è abbandonata a se stessa, una volta “potata e legata” ci offre uno dei doni più amati dagli uomini: il vino. Può darsi che con il “nobile frutto” dell’uva emerga il Mandeville, che lavorò per la propaganda dei venditori di alcolici, tuttavia non si può negare il profondo significato antropologico, sociologico, economico dell’immagine della vite, basti pensare alla lunga tradizione alimentare del vino ed al vantaggio che i viticultori traggono da quello che è detto il “vizio del bere”. Inoltre proprio la similitudine del vino fa capire che Mandeville non è certo lo sfrontato consigliere di una vita sfrenata e gaudente. Al contrario precisa che i vizi personali diventano benefici pubblici solo quando sono “sfrondati e contenuti dalla giustizia”, così come la misera vite dà buoni frutti solo quando è “potata e legata”.
Sfrondare e contenere, potare e legare: ecco i verbi che Mandeville propone per i vizi! Per questo “frode, lusso, orgoglio” non sono drasticamente eliminati, ma neanche lasciati del tutto a sé stessi.
I vizi, opportunamente moderati, possono essere il motore del benessere generale, che più o meno può toccare tutti gli uomini, ed è inutile rimpiangere l’antica e felice età dell’oro, in cui gli uomini erano semplici e senza malizia: chi sogna l’età dell’oro non si rende conto di sognare il ritorno alla povertà e alle “ghiande”.


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