Il canale di Suez e la disinvolta abilità di un ex-diplomatico

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Lontano passato
Fin dal lontano passato si ha notizia di un canale che collega il Mediterraneo con il Mar Rosso. Lo stesso Erodoto, padre della storiografia, attorno al 450 a.C. ne è testimone: parla di una traversata di quattro giorni di navigazione.
Tanto i faraoni dell’antico Egitto quanto, dopo il VII secolo, i califfi arabi si sono interessati ad aprire un varco nell’istmo di Suez: impresa più volte tentata, ma poi abbandonata fino all’insabbiamento del canale.
Nel ‘500 i veneziani, che dominano i commerci mediterranei, sono ben intenzionati a garantire una diretta e stabile comunicazione fra i due mari, ma per mancanza dei capitali necessari non realizzano l’ambizioso progetto.
Tutto sembra mutare alla fine del ‘700 con la campagna militare compiuta da Napoleone in Egitto. Fa parte della spedizione Charles Lepère, ingegnere capo dei ponti e delle strade della nuova Repubblica Francese, il quale svolge ricerche nell’istmo di Suez per la costruzione di un canale. Fra molte difficoltà e con strumenti non adeguati conferma un ostacolo già noto e tramandato dall’antichità: i due mari da collegare non sono sullo stesso livello. Lo stesso Napoleone reputa il progetto troppo impegnativo e archivia le relazioni sul canale nel vasto materiale descrittivo sull’Egitto.
Ma sarà l’ingegnere bolognese Gaetano Ghidini, che nel 1820 lavora in Egitto, lo studioso che con accurati studi farà cadere la vecchia teoria e dimostrerà che i due mari sono posti quasi sullo stesso livello.

I Sansimoniani
In quella dinamica fase fra il Settecento e l’Ottocento, dopo i grandi cambiamenti portati dalla Rivoluzione francese e quelli provocati dall’altra grande rivoluzione industriale, nascono non pochi centri di ricerca dove tecnici e scienziati, in nome del progresso, mettono a disposizione le loro conoscenze per migliorare le condizioni di vita dell’umanità. In Francia con il filosofo Claude Henri conte di Saint Simon, promotore di un futuro benessere generale degli uomini basato sul lavoro e la cooperazione, sorge una società di studi dove ingegneri, medici, architetti, letterati mettono a punto progetti per concreti miglioramenti nel campo dell’economia e della società. Fra questi progetti è previsto il taglio dell’istmo di Suez e proprio un sansimoniano, l’ingegnere Barthélemy Prosper Enfantin, con un seguito di tecnici e di esperti lavora alacremente in Egitto fra il 1833 e il 1837. Non solo deve pensare a problemi strettamente tecnici, ma deve anche stabilire buone relazioni con le autorità egiziane per convincerle dell’utilità di un canale fra quello che sarà Port Said (porto in onore di Mohammed Said, il vicerè che ha voluto il taglio dell’istmo) e Suez (dall’egiziano “suan”, cioè inizio, inizio del Mar Rosso). In questo è aiutato da un personaggio della diplomazia francese: Ferdinand de Lesseps.
Dopo gli studi in Egitto, Enfantin farà propaganda in Europa per l’utilità internazionale della costruzione del canale, fino a promuovere la creazione nel 1846 della “Société d’Etudes pour le Canal de Suez”.

Grandi tecnici e uno spregiudicato ex-diplomatico
La realizzazione di un’opera così vasta come il canale di Suez richiede fondamentalmente un alto livello di cognizioni tecnico-scientifiche, fatto possibile nella civiltà ormai industrializzata dell’Europa dell’Ottocento, ma anche un instancabile lavoro sia politico-diplomatico sia finanziario: sono coinvolti tecnici, politici, banchieri.
Andando punto per punto gli obiettivi da raggiungere sono:
disporre dei progetti preparatori ed esecutivi degli ingegneri, fra i quali vi sono francesi e numerosi italiani;
ottenere per l’esecuzione materiale dei lavori i firmani (dal persiano firman che significa editto, permesso) dal Vicerè d’Egitto, che dovrebbe dipendere dal Sultano di Costantinopoli, dal momento che l’Egitto da secoli fa parte del grande Impero Ottomano, anche se di fatto è quasi del tutto indipendente per la debolezza e la decadenza dello stesso potere della capitale Costantinopoli;
garantirsi il sostegno delle grandi potenze europee: la Francia in primo luogo, poi l’Austria e la Germania, infine l’Inghilterra che sarà la meno favorevole e più interessata alla costruzione di una linea ferroviaria;
trovare i capitali necessari presso i banchieri.
Gran parte di questo lavoro è portata avanti, come abbiamo visto, dall’ingegner Enfantin e dalla “Société d’Etudes pour le Canal de Suez”; ma dopo il 1854 entra in campo il già citato Lesseps che, essendo stato viceconsole francese a Tunisi, al Cairo e ad Alessandria fra il 1828 e il 1838, è legato da vecchia amicizia al Vicerè d’Egitto Mohammed Said.
Nel 1854 Lesseps non è più nella diplomazia francese, da cui è stato licenziato dopo una fallita operazione tentata a Roma nel 1849 per trovare un accordo fra Mazzini e papa Pio IX, ma è un privato uomo d’affari. Un uomo dalla energia inesauribile, dalla determinazione inarrestabile davanti alle difficoltà, dalla completa mancanza di scrupoli.

La realizzazione dell’opera
Lesseps, che conosce Mohammed Said fin dall’infanzia di quest’ultimo, riesce ad ottenere l’approvazione per costituire la “Compagnie Universelle du Canal de Suez”. Nello stesso tempo per volere del Vicerè Said si crea una Commissione Internazionale di Tecnici, che deve esaminare gli ormai numerosi progetti sul canale e di cui fanno parte esperti quali il trentino Luigi Negrelli, ingegnere al servizio del governo austriaco e già membro della Société d’Etudes di Enfantin, e l’ingegnere idraulico Pietro Paleocapa, ministro dei lavori pubblici per il Piemonte. Ne è escluso Enfantin che, non avendo nessuna veste ufficiale riconosciuta da qualche governo, nel momento di passare alla fase operativa è tagliato fuori da un’opera per cui tanto si è speso.
Mentre Lesseps persegue infaticabile l’obiettivo del canale, escono di scena i due importanti tecnici: Negrelli che muore a Vienna nel 1858; Paleocapa che afflitto da cecità riesce solo a lavorare in Italia e non può più pensare all’Egitto.
Il nostro Lesseps finalmente da solo costituisce la “Compagnie Universelle”, raccoglie capitali con l’emissione di azioni, rafforza i legami con i governi più coinvolti: in primo piano la Francia e poi l’Austria. L’ “anticanalista” Inghilterra, sempre interessata a un collegamento ferroviario fra Alessandria e Suez, resta estranea all’affare, anche se vi rientrerà decenni dopo. Il fatto più curioso e anche scandaloso è che le vere menti del canale di Suez – Enfantin, Negrelli, Paleocapa – rimangono al margine dell’affare vero e proprio, se non per aver lasciato i loro studi e i loro progetti. Non manca neppure un oscuro fatto giudiziario che mette in luce i metodi troppo disinvolti del Lesseps, che si serve di un banchiere triestino, il barone Revoltella, per carpire con l’inganno tutti i documenti tecnici e le quote azionarie del defunto Negrelli alla vedova e alla figlia.
La Compagnia del Canale si opporrà al successivo ricorso degli eredi Negrelli e i tribunali di Parigi le daranno ragione. Ma dire Compagnia del Canale significa far riferimento al suo Agente Generale: Ferdinand de Lesseps.
Il 25 aprile 1859 hanno inizio i primi lavori, che dureranno 10 anni.
Il 16 novembre 1869 i 168 chilometri del canale saranno inaugurati da una straordinaria sfilata di una ventina di navi preceduti dalla fregata “Aigle” con a bordo L’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone III – il quale poco dopo, nel 1870, andrà incontro alla irreparabile sconfitta della guerra franco-prussiana – e ovviamente il Lesseps.


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