Fra Settecento e Ottocento, il panificio

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Questa tavola tratta dall’Enciclopedia Francese, opera a più volumi pubblicata nel Settecento, presenta l’interno di un forno che produce pane, alimento base nel passato lontano e vicino -e non solo nel passato-. Si vedono vari personaggi ritratti in diverse operazioni.
Personaggio 1: quello di destra, l’impastatore che prepara la pasta del pane in quel particolare mobile che è la madia.
Personaggio 2: quello in fondo, impegnato a pesare la pasta.
Personaggi 3 e 4: quelli che sul tavolo di mezzo danno forma ai pani.
Personaggio 5: quello in fondo a sinistra, vicino al forno, l’infornatore che con la pala mette o toglie i pani.
L’oggetto rotondo in primo piano è un contenitore in cui si mettono i pani.

Per capire le varie operazioni dei panettieri è utile leggere le semplici e vivaci pagine di un manuale scolastico, che nell’Ottocento Luigi Alessandro Parravicini, socio di varie Accademie in Venezia, scrisse per i ragazzini delle scuole di base: il “Giannetto”.
Giannetto, uno scolaretto curioso, vuol sapere che cosa succede a una certa quantità di grano che, dopo essere stata macinata e ridotta in farina dal mugnaio, passa al panettiere o fornaio.

Prima operazione: passare al setaccio o abburattare
A Giannetto si spiega che il panettiere non usa direttamente la farina che viene dal mulino, ma per prima cosa versa il grano macinato in un setaccio, detto buratto, in cui si trova il frullone che è una lunga cassetta con le pareti fatte proprio di setacci o stacci. Quest’ultimi sono pezzi di tessuto a trama più o meno fitta che servono per far passare i granelli più fini e trattenere quelli meno fini. Tutto l’apparecchio si fa girare con un manubrio: così si separa la farina dalla crusca, cioè dalla buccia dei chicchi di grano. Ecco una farina bella bianca, pronta per il pane.


Seconda operazione: intridere la farina e preparare la pasta
La sera precedente all’infornata, il panettiere mette insieme una porzione di farina e del lievito, cioè un pezzo di pasta avanzato dalle infornate precedenti e fatto inacidire. Il lievito promuove la fermentazione che rende il pane “soffice e d’un gusto aggradevole”. Il tutto è bagnato con un po’ d’acqua e lasciato a riposo.
Queste operazioni si fanno nella madia, ossia in quella specie di cassa disegnata nella tavola dell’Enciclopedia, dove è anche ben visibile sotto la madia il secchio d’acqua usato per bagnare il preparato.

Terza operazione: impastare con energia
Il giorno dopo il lievito, che già ha fatto gonfiare la farina emettendo un “ grato odore vinoso”, è sciolto con acqua assieme alla farina. Si mescola il tutto con energia, fino a formare una pasta “un po’ soda”, che poi si divide in pezzi. Il fornaio butta “con forza i pezzi contro le pareti della madia” e continua ad impastare affinché la farina si riempia ben bene d’aria. Solo così il pane cuocendo diventa “bucherellato e leggero” e proprio per questo motivo l’impastatore dell’Enciclopedia presenta un fisico robusto e muscoloso.

Quarta operazione: dare forma ai pani
I pezzi di pasta sbattuti fino alla giusta consistenza passano ai garzoni, che li ripongono in un cesto da collocare sopra la volta del forno, ossia li mettono “in caldana”, e li riparano con una coperta per completarne la fermentazione. Poi i garzoni tagliano e lavorano i pezzi di pasta, dando la “forma di pane rotondo, di picce – due panini attaccati -, di fili di pane e di panettini”.

Quinta operazione: cuocere al forno
Con la pala i pani vengono messi nel forno: tutto sotto l’attento controllo o del “capo-fornaio” o dell’infornatore. Costoro conoscono sia la precisa temperatura, che “non è tanto facile indovinarsi”, sia il giusto punto di cottura, che sono fondamentali per far sollevare la pasta, formare la crosta e ottenere un buon pane bianco e profumato.


Pane bianco, ma non per tutti
Cuocere al forno e impastare nella madia sono i procedimenti più delicati per la riuscita della panificazione, ma è anche importante l’abburattamento della farina, che dà quel bel pane bianco fatto con il frumento. Ma nell’Ottocento non tutti consumano pane bianco; i poveri si accontentano di altri tipi di cereali come racconta a Giannetto un contadino. Così si spiega: “Il frumento è il miglior granello da macinarsi per fare il pane; ma il cibo di noi miseri contadini è questo – indica un pane di segale – e sì, ne ringrazio Iddio. La segale si adatta ai terreni più cattivi e cresce come il frumento ancorchè nell’annata scarseggi molto la pioggia. Mescolando farina di segale alla farina di frumento s’impasta un pane sanissimo”. I contadini consumano questo pane che è sì sanissimo, ma non bianco.




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