Roma e Napoli nel Settecento: il tributo della chinea
![]() Nel quadro è ritratta Piazza San Pietro: a sinistra si vede parte della Basilica, sullo sfondo i palazzi vaticani, a destra l’obelisco di Eliopoli e parte del colonnato del Bernini. Fastosa cerimonia Il bel dipinto presenta l’omaggio che il Re di Napoli ogni anno tributa al Papa di Roma la vigilia del 29 giugno, giorno di S. Pietro e Paolo. Dopo varie guerre combattute fra le dinastie europee, il regno di Napoli e della Sicilia nel 1734 tocca a un esponente della casa dei Borboni: Carlo di Borbone, che prima è re a Napoli e poi diventerà Carlo III re di Spagna. Come re di Napoli, è soggetto a un’antica dipendenza che sottomette il Sud d’Italia al papa di Roma; si spiega così la fastosa cerimonia con un gran numero di alti personaggi, sia romani sia napoletani, che compaiono nel quadro. E’ presente anche un cavallo bianco, o meglio una mula bianca detta la chinea - l’animale che si vede al centro -, che è offerta come tributo alla Chiesa di Roma. L’animale porta un basto con una grossa somma di denaro - 7000 ducati d’oro -: il tributo richiesto in cambio del potere sull’Italia meridionale. L’antefatto Come pensare che nel Settecento uno stato, quale il Regno di Napoli, debba versare un tributo annuo a uno stato straniero, che è lo Stato della Chiesa? La chinea rispecchia istituzioni che rimandano al lontano Medio Evo: il “feudo”, cioè terre più o meno estese, e il “rapporto vassallatico” fra il Signore, padrone del feudo, e il Vassallo, che riceve il feudo in cambio di servizi e denaro. Fin dai primi secoli del Medio Evo, ossia fin dal sec.VI, la Chiesa di Roma possiede molti beni terrieri nel Meridione; in seguito rivendica per sé tutto il Sud d’Italia, che considera un suo feudo. Da qui derivò la prassi che chi governasse il Meridione dovesse ricevere l’investitura papale, con la quale diventava legittimo sovrano e accettava il rapporto di sudditanza da Roma, accompagnato da un congruo tributo. Così accadde nel sec. XI, quando sorse il Regno Normanno con la conquista di quasi tutta l’Italia meridionale. I condottieri normanni Roberto il Guiscardo e Riccardo di Aversa si dichiararono vassalli dell’allora pontefice Niccolò II e s’impegnarono a proteggerlo con i loro eserciti e a versare del denaro. Un fatto analogo avvenne nel sec. XIII, quando il Papato in lotta con gli imperatori Svevi, che avevano ereditato il Regno dei Normanni, si rivolse al principe Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia. Vinti gli Svevi, Carlo fondò il Regno degli Angioini, dopo avere ricevuto l’investitura da papa Clemente IV ed essersi impegnato a offrire un tributo di 8000 once d’oro e di un pregiato cavallo ogni tre anni. Con il passare dei secoli il tributo rimase e nel Cinquecento le aree del Sud, passate sotto il dominio spagnolo, dovettero pagare 7000 ducati d’oro trasportati dalla famosa chinea. Arriva il Settecento… Dopo la dominazione spagnola durata più di 150 anni, subentrano i Borboni, che accettano la chinea; ma i tempi sono cambiati e si diffonde una nuova cultura, quella degli Illuministi, filosofi che vogliono eliminare l’antiquato feudalesimo, per creare nuove e più efficaci strutture nella politica e nell’economia. Nel Settecento è ormai assurdo un omaggio feudale e per di più, negli anni ’70, avvengono contrasti, per motivi di etichetta, fra le autorità romane e napoletane che partecipano alla chinea. Queste liti creano scandalo e provocano un profondo ripensamento sul valore e sulla legalità della chinea stessa. Ovviamente la Chiesa riconferma pienamente gli antichi diritti; mentre il Tanucci, ministro a Napoli, vuole eliminare la cerimonia con tutta la sua pompa e mantiene il solo tributo in denaro da versare non tanto al Papa, quanto ai Santi Pietro e Paolo. Chi è il Tanucci? Bernardo Tanucci è un professore di Pisa, chiamato a Napoli e impegnato in riforme che dovrebbero modernizzare lo stato e sollevare l’economia meridionale. Tanucci individua il male del Sud in un preciso elemento: il feudo, che permane nei secoli e che nella chinea ha la sua ormai inspiegabile espressione. Tanucci è in armonia con gli studiosi meridionali, ben preparati in diritto e in economia, e considera gli enormi latifondi – quasi dei feudi - posseduti dal clero e dai nobili, gelosissimi dei loro privilegi, l’ostacolo maggiore all’economia del paese. Questo ostacolo è ben visibile nell’agricoltura, che è ferma ad una coltivazione poco produttiva ed ignora i grandi miglioramenti dell’agronomia del ‘700. I latifondisti si curano poco dei lavori agricoli, riservati a fattori e contadini, e soprattutto non usano i finanziamenti necessari per quelle opere di miglioramento dei terreni che, per esempio, rendono ricca l’agricoltura della Lombardia. Anche nel commercio si mantengono vecchi regolamenti e dazi che sono contrari alla libera circolazione dei prodotti: libera circolazione proposta dalle moderne teorie economiche, professate da inglesi e francesi e anche dagli illuministi napoletani, e che stimolano le economie più ricche. Grande è anche il lavoro del Tanucci svolto in linea con il giurisdizionalismo di illuministi, come Gaetano Filangieri. Si persegue l’obiettivo di precisare e rafforzare il potere dello stato, che s’impone su tutte le istituzioni che ha al suo interno, comprese quelle religiose. Si devono eliminare vantaggi o privilegi, da quelli della Chiesa a quelli dei nobili o baroni, per creare una solida compagine statale che non sia un insieme di contraddizioni, con leggi e tribunali diversi e vantaggiosi per la ristretta nobiltà e i numerosi ordini religiosi. Riforme non riuscite e chinea dura a morire Sotto Ferdinando IV, successore di Carlo, viene licenziato il Tanucci e molte riforme sono accantonate, anche se nel 1788 un energico ministro, il marchese Domenico Caracciolo, riprende i temi del giurisdizionalismo e respinge ogni soggezione feudale del Sovrano di Napoli nei confronti del Papa. Tuttavia, passata la fase riformistica, nel Sud riprendono vecchie abitudini e anche la chinea è applicata per un certo periodo. Solo nel 1855, quando nel Meridione vi è il Regno delle Due Sicilie ed è ormai vicina l’unificazione di tutta l’Itala, tramonta per sempre la chinea e come costosa cerimonia e come pesante esborso di soldi. |
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