Inghilterra e Gin

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“Gordon’s Gin”, 1968, Olio su tela del pittore americano Richard Estes

Aspetto attraente e piacevole: invitante è quella bevanda limpida e trasparente, ritratta con straordinario realismo da un esponente dell’arte americana degli anni Sessanta. E’ un ambiente anglosassone che mostra i profondi legami tra Inghilterra e Stati Uniti: il Gordon del quadro fa riferimento a A. Gordon, distillatore fra Settecento e Ottocento, che produceva un liquore di alta qualità, divenuto famoso a livello mondiale.


“Gin Lane”, incisione di William Hogarth, 1750-1751

Aspetto più che desolante: la “strada del Gin” presenta un quartiere degradato, dove in fondo becchini portano via un morto, in secondo piano a destra gente che litiga brutalmente, davanti a questa un ubriaco in carriola ancora attaccato al bicchiere, ovunque persone malvestite e malconce, in primo piano una donna che mostra un corpo rovinato e che dovrebbe allattare il figlio ma, impegnata con una presa di tabacco, non si accorge che il pargolo sta cadendo. Tutto è fatiscente: l’ambiente è sudicio e senza dubbio nauseabondo, vi sono case in rovina e macerie, abbondano soltanto le taverne con le loro insegne, fra le quali è in evidenza in basso a sinistra il boccale con la scritta “gin royal”. Domina il dolore umano, come si nota in alto a sinistra: un impiccato si intravvede da una finestra di una casa mezza diroccata, fa da contraltare alla lontana statua di un personaggio dotato di sciabola.

Bevande alcoliche
Fin dai tempi antichi i popoli greci e romani, e prima ancora anche egiziani, ben conoscevano gli effetti della fermentazione dei vegetali; sapevano che dalla disgregazione delle sostanze zuccherine era possibile ottenere gradevoli bevande. Grazie all’esperienza hanno trattato amidi, cellulose e sostanze ricche di carboidrati riducendoli a glucosio e a fruttosio. Il vino degli antichi è ben noto, basti ricordare la letteratura greca e romana; inoltre gli stessi egizi producevano una sorta di birra.
Alla fermentazione occorre aggiungere la distillazione, tecnica adatta ad ottenere bevande alcoliche o a trarre profumi ed essenze da varie sostanze. Poiché l’arte più avanzata della distillazione proviene dagli arabi, presenti nel Mediterraneo dopo il VII secolo, si deve aspettare il Medio Evo per sentir parlare di alcol, ovvero di sostanze spiritose. Stranamente i popoli arabi, che essendo islamici hanno il divieto di consumare alcolici, hanno conosciuto in tempi lontani, e poi trasmesso in Europa, metodi e strumenti della distillazione, usati non per il vino ma per profumi ed essenze. La parola alcol, infatti, deriva dell’arabo e significa “polvere finissima” nel senso di “essenza prima”; lo stesso apparecchio per distillare i liquori ha un nome arabo: alambicco.

Il gin
Il gin è una bevanda alcolica che deriva dal frumento, al quale si aggiungono coccole bluastre di una pianta sempreverde, il ginepro, e secondo i gusti altri aromi. I frutti di quest’albero sono bacche polpute, con sapore acre e aromatico, contenenti un olio volatile e zucchero. Il gin ha origine nelle aree delle Fiandre e del Brabante, cioè in Olanda e in Belgio; in Olanda si chiama genever ed è prodotto vicino a Rotterdam, nel villaggio Schiedam. E’ un liquore accolto bene da molti, perché gradevole, e ricercato per le sue proprietà stimolanti.
Come altri alcolici, il gin è consumato dai marinai e dai militari, ossia da chi è esposto ai pericoli e alle fatiche: i marinai devono sopportare la violenza del mare e dei venti, i militari si devono far coraggio di fronte alla guerra.
All’inizio è venduto per lo più dai farmacisti poi in seguito, quando si diffonde dagli olandesi agli inglesi, questi ultimi considerano buona abitudine consumarne una moderata dose a scopo voluttuario; per di più un bicchierino di gin calma la fame. Il gin passa così dalle farmacie alle distillerie e alle taverne.

Inghilterra, Olanda e Gin
La “gloriosa rivoluzione” inglese del 1689, avvenuta per il contrasto politico-religioso fra protestanti e cattolici, senza spargimento di sangue porta al trono Guglielmo d’Orange, un olandese, massima autorità militare della protestante Olanda. Guglielmo è sposo di Maria, figlia del sovrano inglese Giacomo II Stuart che, favorevole ai cattolici, viene deposto dai suoi sudditi fedeli al credo protestante: il regno di Giacomo II passa al genero olandese e alla figlia. In questo modo s’intensificano i già numerosi rapporti fra inglesi e olandesi anche nello scambio di bevande come il gin, sebbene non siano gradite le importazioni di liquore dai porti olandesi a quelli inglesi. Si produce un gin britannico, non più il genever olandese, con la gioia dei proprietari terrieri che vedono accrescere i guadagni, vendendo i loro cereali alle fabbriche di distillazione. Il consumo della bevanda aumenta sempre più, anche con l’appoggio del governo che, in una prima fase, introduce una tassazione favorevole per chi produce e per chi vende il liquore.
Il gin diventa una moda, uno stile di vita e nel frattempo diviene anche un rimedio per i poveri oppressi dalla miseria, che non tarda a creare problemi d’ordine sociale. Si dice che l’ubriaco ricco va incontro a fasi di malessere alternate ad un po’ di salute, mentre il povero si ubriaca fino ad abbrutirsi. Il diffondersi dell’ubriachezza è ben ritratto dalle stampe di W. Hogarth, pittore e incisore del Settecento impegnato a cogliere con una vena satirica e critica gli aspetti della società inglese. Aumenta il consumo di gin e lo stesso Parlamento vara leggi per combattere la piaga sociale dell’ubriachezza: tutto invano poiché il gin è la bevanda dei bassifondi, la quale offre un momento di tregua dagli affanni dell’esistenza. Occorre frenare anche la diffusione delle distillerie clandestine, che per di più non si fanno scrupolo di spacciare gin tossico; a metà del Settecento viene introdotta una nuova legge per migliorare la qualità della bevanda, anche se rimangono le cause profonde dell’ubriachezza: mancanza di istruzione e mestieri duri e faticosi.

“Gin Temples” nell’Ottocento
Nel secolo successivo il gin tiene banco e piace sia ai ricchi, sia ai poveri. Viene usato anche molto impropriamente, per esempio le mamme per le sue possibili funzioni narcotiche lo somministrano ai bambini che non dormono. A Londra vi è una novità nelle vendite di liquore: sorgono i “palazzi del gin”, i cosiddetti “gin temples”, che raccolgono persone di ogni sesso e di ogni età. Sono locali con delle pretese, con tanto di luci a gas, di grandi specchi, di orpelli sontuosi, dove si muovono povere vittime vestite di cenci, che vanno a spendere l’ultimo soldo per un bicchiere di gin, dopo aver dato fondo alle loro sostanze.
Il governo con tutte le sue leggi, e sul gin non sono mai mancate, non riesce a porre freno ai mali dell’ubriachezza e per questo sorgono filantropici “movimenti di temperanza” che cercano di moralizzare la società. Svolgono la loro missione predicando contro i palazzi del gin o del ginepro, che sono saloni con lunghe file di botti, di fronte alle quali corre una cancellata di quercia che è il banco dei bar odierni. Gli avventori in silenzio e con grande serietà sembrano muoversi in una sorta di tempio, il cui unico dio è il gin.

Il Gin oltre l’Atlantico
Non solo gli inglesi ma, nel Settecento, anche i coloni dei territori nord-americani apprezzano la bevanda ereditata dagli olandesi: sono i soldati quelli che diffondono l’abitudine di sostenersi con il gin. Nel nuovo mondo il liquore va incontro a delle novità, come ha subito modificazioni passando dall’Olanda all’Inghilterra. Viene mescolato a un’acqua tonica contenente il principio del chinino, vegetale usato come rimedio alle febbri intermittenti di una malattia, la malaria, frequente nei luoghi selvaggi. Inoltre i miglioramenti continuano nelle tecniche della distillazione e proprio con le ripetute distillazioni si giunge a un liquore sempre più puro e nello stesso tempo più secco, il “dry gin”.
L’impero britannico riconferma lo “stile del gin”: come nella madre patria, anche le colonie accolgono l’abitudine di centellinare la cosiddetta “sundowner”, cioè la bevanda del tramonto.



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